Nessuna italiana nella top 100 delle aziende leader nell’ “hi-tech green”

L’economia del vicino è sempre più verde? Per quanto riguarda l’Italia, purtroppo, sì. The Guardian e CleanTech hanno stilato la classifica mondiale delle aziende all’avanguardia nel campo della sostenibilità: secondo i ricercatori di CleanTech, le imprese che nei prossimi anni saranno protagoniste della green economy si trovano negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania, in Cina, in Israele, in Norvegia, in Australia, perfino in Nuova Zelanda. Quasi ovunque, ma non in Italia.
Orgoglio nazionale a parte, in realtà, se le previsioni si riveleranno corrette, un settore in forte espansione come quello dell’hi-tech green (che tra l’altro potrebbe trainare molti paesi fuori dalla crisi economica) subirebbe – in Italia – un pesante declino.
I dati di CleanTech stimano che, nell’arco del 2010, le cosiddette tecnologie “pulite” abbiano generato flussi economici pari a circa 7,8 miliardi di dollari, registrando un incremento del 28% rispetto all’anno precedente.

Per entrare in questa lista “d’oro”, le aziende devono essere specializzate nelle tecnologie per lo sviluppo dell’energia pulita, avere un bilancio positivo, essere indipendenti e non quotate. Nel 2010, CleanTech ha ricevuto circa 4800 segnalazioni, tutte attentamente valutate da un panel internazionale di esperti. I criteri di valutazione si basano essenzialmente sulla qualità dell’innovazione proposta, sul giro d’affari prodotto, trend di crescita ad esso connesso e capacità di inserire la propria tecnologia sul mercato.

La matrice anglosassone della ricerca – spiega Stefano Pogutz, direttore del Master in Economia e Management dell’ambiente e dell’energia dell’Università Bocconi – è un preziosissimo lavoro di scouting, ma non riflette l’andamento reale del mercato. La classifica, infatti, include numerosissime star-up americane con una forte propensione allo sviluppo, ma penalizza evidentemente le imprese del nostro territorio che – seppur con notevoli difficoltà – si stanno facendo largo nella green economy. L’Italia, infatti, sta dimostrando di avere – anche se in leggero ritardo rispetto ai competitors stranieri – le carte in regola per giocare un ruolo importante nei settori “green”. A dimostrazione di questa tesi, troviamo Eni ed Enel, due colossi nazionali che investono grandi risorse nelle energie sostenibili, ma anche piccole realtà come la marchigiana Loccioni, attiva nelle tecnologie per il risparmio energetico.

In questo momento, comunque, le aziende su cui scommettere per un futuro “green” si chiamano Aqua Spy (Usa) che ha ideato un sistema di controllo dell’irrigazione dei campi che garantisce un notevole risparmio di acqua; Exosect (Inghilterra) specializzata in pesticidi naturali; MiaSolè (Usa) che produce semiconduttori a film sottile fatti di rame, gallio e indio; Aquamarine Power (Scozia) che sfrutta le correnti sottomarine per generare elettricità; Solazyme (Usa), produttrice di biocarburanti a base di alghe; Chapdrive (Norvegia), attiva nella componentistica per l’eolico.

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