Il Principato di Monaco diventerà un laboratorio green, parola di Alberto II!

Il Principato di Monaco diventerà un laboratorio green, parola di Alberto II!

Per una volta Alberto II di Monaco non è protagonista di gossip o vicende mondane, anzi. Un paio di settimane fa, il Principe è venuto in Italia per partecipare a una conferenza dell’Università di Milano Bicocca dedicata alla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento e a un galà di presentazione e raccolta di fondi per l’Associazione italiana della Fondation Albert II de Monaco Onlus.

Ecco quello che ha raccontato in una lunghissima intervista a Sette, il settimanale del Corriere della Sera.

Monseigneur, cominciamo dalla Fondazione creata nel 2006 e che porta il suo nome: com’è nata questa iniziativa?
«Sentivo l’urgenza di agire sul terreno in maniera più diretta e concreta di quanto non facessero già altre organizzazioni. Magari lavorando insieme, cercando collaborazioni efficaci, per arrivare a risultati più incisivi rispetto a ciò che fino a quel momento aveva fatto il Principato in molti Paesi del mondo e con la cooperazione internazionale. Bisognava andare oltre, con un approccio più coinvolgente e di più lunga prospettiva».

Un progetto ambizioso. Ma quali sono gli obiettivi specifici?
«Mi interessava offrire spazi di riflessione sulle problematiche ambientali più attuali, sulla protezione delle biodiversità, sull’accesso all’acqua, sui cambiamenti climatici e sulle energie rinnovabili. Ma soprattutto volevo lavorare sullo spirito di partecipazione dei cittadini e delle grandi associazioni internazionali con le quali lavorare su diversi progetti: il Wwf, il Climate Group (l’organizzazione no profit che lavora per la “Clean Revolution”, ndr), la National Geographic Society e la Fondazione delle Nazioni Unite. In questi anni la Fondation Albert II ha acquisito molti prestigiosi partner internazionali e ha creato diramazioni in Germania, Francia, Svizzera, Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e nell’ottobre scorso persino a Singapore».

Con l’Italia, vostra vicina di casa, Paese di cui lei parla perfettamente la lingua, quali progetti avete messo in cantiere?
«I rapporti di amicizia con l’Italia sono solidi e di vecchia data. Lo dimostra – in campo ambientale – l’Accordo Ramoge per la tutela delle acque e dei fondali marini compresi tra La Spezia e Marsiglia, firmato nel 1976 da mio padre, il principe Ranieri, con Francia e Italia. Grazie a questo accordo è stato creato il Santuario Pelagos, per la tutela dei mammiferi marini. Con la Fondazione, invece, ci occupiamo della protezione dei pesci cartilaginei che popolano i nostri mari, del Balbuzard Pecheur (Pandion Haliaetus, ndr), un rapace che si nutre di pesci, e abbiamo un piano di risanamento per l’Aquila del Bonelli, che vive soprattutto nei monti della Sicilia e la cui sopravvivenza è a rischio elevato».

Il 2006 non è solo l’anno in cui è nata la Fondation Albert II, ma anche la data in cui il Principato ha sottoscritto il protocollo di Kyoto sul riscaldamento globale: quale ruolo può giocare l’Europa nel piano per la riduzione delle emissioni e nella formulazione del nuovo accordo sulle emissioni?

«Il ruolo dell’Unione Europea (il Principato di Monaco non ne fa parte, ma siede nel Consiglio d’Europa dal 5 ottobre 2004, ndr) si è visto con chiarezza alla conferenza di Durban, nel dicembre scorso: è stato molto importante nella composizione della tabella di marcia che regolerà i lavori per la stesura e l’attuazione del nuovo accordo di Kyoto. Anche se i tempi saranno più lunghi di quel che si sperava, gli europei hanno comunque tenuto in piedi il processo di rinnovamento dell’accordo con termini accettabili per tutti. Adesso però si dovrà andare oltre, per arrivare a un nuovo testo entro la scadenza del trattato e, ancora una volta, si potrà contare sull’Europa».

Suo padre Ranieri si era conquistato il titolo di «Prince Batisseur» (principe costruttore) per la quantità di cemento e grattacieli di cui aveva dotato i 2 chilometri quadrati scarsi che costituiscono il Principato. Da quando, nell’aprile del 2005, lei è salito al trono, c’è stata una sterzata in chiave green a cominciare dalla compensazione delle emissioni del Grand Prix di Monte Carlo e del Monaco Yacht Show. Una situazione un po’ schizofrenica, non le sembra?
«Non credo che l’attenzione all’ambiente e la necessità di sviluppo siano due anime incompatibili. Al contrario. Lo sviluppo urbano è un bisogno determinato dall’aumento della popolazione e dal progresso economico. Certo, si deve procedere con spirito di corresponsabilità e nell’ottica di una gestione durevole, che va applicata all’energia come agli spazi pubblici, mirando sempre più a un’economia verde che concili queste contraddizioni. Credo però che un Paese come il nostro, con queste costrizioni geografiche e topografiche e con un’estensione così modesta, possa servire da modello per altri Paesi più grandi. Attenzione, però, è solo con un buon dialogo tra i protagonisti della società che si arriva a uno sviluppo più armonico e rispettoso».

Ci faccia un esempio di quello che il Principato può insegnare agli altri Paesi in materia di ambiente…
«Il Principato è un buon laboratorio di iniziative ambientaliste. Da tempo cerchiamo di avvicinarci il più possibile alle norme internazionali per le emissioni di CO2. Abbiamo obiettivi pressanti anche sulla mobilità pulita. Nel settore pubblico, per esempio, i nostri bus viaggiano con biocarburanti Diester e sono certificati Eev (Enhanced Environmentally Friendly Vehicle); mentre, sul fronte dei privati, aiutiamo con appositi finanziamenti chi vuole acquistare veicoli elettrici, ibridi o a energia rinnovabile. Disponiamo anche di un sistema di noleggio di biciclette elettricamente assistite per chi vuole girare per Monaco su due ruote. In materia edilizia i regolamenti sono più severi che in passato, rispettosi delle norme ambientali sia riguardo ai materiali utilizzati per le costruzioni che per la migliore gestione energetica dei nuovi edifici. Abbiamo già fatto dei grandi passi, ed è certamente più facile per noi che lavoriamo su piccola scala».

Ma lei quando si è scoperto ecologista?
«È stato molto tempo fa, già da piccolo. È l’eredità del mio trisnonno Albert I, fondatore del Museo oceanografico di Monaco, che in tutti i suoi scritti parlava di mare e che fu tra i primi, alla fine dell’Ottocento, a occuparsi di protezione delle zone marine e di parchi nazionali. Sono stati i suoi testi a ispirarmi, ma anche l’esempio di mio padre a cui, come dicevo prima, stava molto a cuore la salute del Mediterraneo e delle zone boschive alla periferia del Principato. Accanto a lui ho partecipato alle grandi conferenze internazionali. Mi hanno colpito specialmente quella di Stoccolma del ’72 e quella di Rio vent’anni dopo, determinanti per la scelta di stimolare la coscienza della gente sulle questioni ambientali e per lavorare alla costruzione di un mondo migliore ».

Monseigneur, qual è il mondo che lei e sua moglie vi augurate per i vostri figli?
«Il pianeta che lasceremo ai nostri figli dipenderà dalla capacità di mettere in discussione la gestione e il consumo delle nostre risorse. Ma vorrei fosse un mondo il più sostenibile e armonioso possibile».

Ci conceda una piccola confidenza: qual è la cosa più «verde» e quella meno «verde» che ha fatto nella sua vita?
«Di cose “verdi” ne faccio parecchie. Mi sposto con veicoli elettrici o ibridi e questa è già una scelta che va nella buona direzione. E lo faccio da tempo. Consumo prodotti il più possibile naturali. L’avvenimento più importante per Charlene e per me è stato il matrimonio, organizzato secondo i nostri desideri: tutte le emissioni di CO2 sono state compensate sotto il controllo della Fondazione. La cosa peggiore che ho fatto e, ahimé, continuo a fare, sono i viaggi aerei. Volo per decine di migliaia di chilometri l’anno. Però, ogni viaggio viene compensato. Quindi, tutto sommato, credo di essere dentro limiti di comportamento abbastanza ragionevoli…».
E finalmente il principe sorride.

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