In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, il WWF ci ha ricordato come la pressione umana sulle risorse idriche sia estremamente elevata e insostenibile per il futuro nel caso dovessimo continuare a incrementare i consumi, come gli attuali trend confermano.
Gli ecosistemi d’acqua dolce ricoprono appena l’1% della superficie del Pianeta e ospitano il 7% delle 1,8 milioni di specie oggi descritte dalla scienza tra cui un quarto dei 60.000 vertebrati noti.
Le specie che li abitano si estinguono a un livello in media 5 volte superiore rispetto a quelle terrestri. Su un totale di 1,4 miliardi km³ di acqua disponibile sul Pianeta solo il 2,5% (35 milioni di km³) è costituito da acqua dolce (fiumi, laghi, ghiacciai ecc.), di cui solo meno dell’1% è potenzialmente utilizzabile dall’uomo per le proprie necessità (non tenendo presenti le esigenze di tutte le altre specie che con noi dividono il Pianeta), che invece si appropria del 54% di tutta l’acqua dolce accessibile, di cui il 20% viene usato dall’industria e circa il 70-80% nel mondo – in Italia circa il 60% – è utilizzato per l’agricoltura.
ECOSISTEMI D’ACQUA DOLCE: NUMERI E SPECIE A RISCHIO. Gli ecosistemi di acqua dolce, pur ricoprendo solo l’1% della superficie terrestre, ospitano il 7% (126.000 specie) delle 1,8 milioni di specie a oggi descritte,. Gli effetti dell’azione umana su questi ambienti sono devastanti: solo in Europa, negli ultimi 50-100 anni il 60% delle zone umide è andato perso perché convertito a usi più “redditizi” o perché non tutelato.
Come documenta il rapporto WWF “Living Planet Report 2012” fornendo i dati sull’Indice del pianeta vivente (Living Planet Index) il declino di questo indice per quanto riguarda gli ecosistemi delle acque dolci è stato superiore a quello di tutti gli altri biomi. L’Indice, analizzato dal WWF, comprende 2.849 popolazioni appartenenti a 737 specie di uccelli, pesci, rettili, anfibi e mammiferi presenti nelle zone umide, nei laghi e nei fiumi d’acqua dolce temperati e tropicali.
Complessivamente, l’Indice delle acque dolci globale è diminuito del 37% fra il 1970 e il 2008 e quello delle acque dolci tropicali, in particolare, è diminuito in maniera più drammatica, del 70%, la percentuale maggiore fra quelle degli Indici dei diversi biomi, mentre l’Indice delle acque dolci temperate è aumentato di circa il 35%.
In Italia e in Europa le specie a rischio degli ecosistemi d’acqua dolce sono soprattutto la lontra, per quanto riguarda i mammiferi, il carpione del Garda e il carpione del Fibreno, per i pesci; la moretta tabaccata e il cavaliere d’Italia, per gli uccelli d’acqua. I boschi ripariali (salici, ontani ecc.) sono quelli più minacciati. Il WWF Italia da sempre attraverso le proprie Oasi protegge alcuni dei più importanti ecosistemi d’acqua dolce: sono 50 le Oasi WWF, su un totale di 120, che tutelano ecosistemi d’acqua dolce e le loro specie, come ad esempio le Oasi di Burano (Toscana), Orbetello (Toscana), Le Bine (Lombardia), le Saline di Trapani (Sicilia), e Valle Averto (Veneto).
E’ questa la fotografia scattata dal WWF Italia sull’approvvigionamento idrico destinata ad assumere sempre di più i caratteri di un’emergenza sia per l’uomo che per la Natura: gli ecosistemi d’acqua dolce, infatti, non solo forniscono l’habitat per la sopravvivenza di numerosissime specie ma consentono anche lo stoccaggio e la fornitura di acqua potabile per soddisfare i bisogni fondamentali della popolazione umana.
INDUSTRIA: PREVISTO QUASI IL RADDOPPIO DEI CONSUMI NEL 2025. L’industria utilizza in media il 20% delle risorse idriche della Terra, ma la percentuale è molto più elevata nei paesi “avanzati”: in media il 59% contro l’8% dei paesi a basso reddito . Secondo le stime dell’UNESCO, il volume d’acqua impiegato a scopi industriali passerà dai 752 km3 l’anno del 1995 ai 1.170 km3 nel 2025, arrivando a rappresentare circa il 24% del prelievo totale di acqua dolce. Non solo consumi diretti, l’industria è responsabile ogni anno dell’accumulo dalle 300 alle 500 tonnellate tra metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e di altri rifiuti. Il contributo più significativo al carico di inquinanti proviene dalle industrie che utilizzano materie prime organiche e tra queste primeggia il settore alimentare come quello maggiormente inquinante. Il settore agroalimentare dei paesi ad alto reddito è responsabile del 40% dell’inquinamento organico in ecosistemi di acqua dolce, mentre per i paesi a basso reddito il contributo sale al 54%. In questi paesi, il 70% dei rifiuti industriali viene scaricato non trattato, inquinando anche l’approvvigionamento di acqua potabile. Utilizzare una minor quantità d’acqua riuscendo al tempo stesso a produrre più cibo o prodotti sarà cruciale per affrontare i problemi legati alla scarsità delle risorse idriche.
RIDURRE L’IMPRONTA IDRICA: DAL CASO MUTTI AL CARRELLO DELLA SPESA VIRTUALE. Cittadini, imprese, investitori ed istituzioni possono ridurre la propria impronta idrica (un indicatore di utilizzo dell’acqua dolce che misura l’uso sia diretto sia indiretto da parte di consumatori e produttori) cambiando e promuovendo abitudini, investimenti e strategie in grado di incidere sui processi produttivi per una riduzione dei consumi d’acqua.
Per quanto riguarda i processi produttivi, un caso-studio italiano di calcolo della propria impronta idrica e di riduzione del consumo di acqua in agricoltura è rappresentato da Mutti, leader di mercato nella produzione di concentrato, passata e polpa di pomodoro.
In collaborazione con WWF e l’Università della Tuscia, Mutti è stata la prima azienda in Italia e una delle poche al mondo, ad aver calcolato i consumi di acqua della propria produzione, dalla coltivazione del pomodoro al prodotto finito, concretizzando degli obiettivi di riduzione dell’impronta idrica del 3% entro il 2015 su tutta la filiera, attraverso misure per migliorare efficienza e efficacia nell’irrigazione e la riduzione dei fertilizzanti.
Dato che l’83% dell’impronta idrica di Mutti è dovuta alla coltivazione del pomodoro, è agli agricoltori che Mutti rivolge maggiormente la propria attenzione, con una campagna di sensibilizzazione e di supporto per razionalizzare l’uso delle risorse idriche impiegate per la coltivazione.
Così, nel corso della stagione agraria 2012, è stata avviata una sperimentazione con un innovativo servizio di gestione dell’irrigazione presso 20 aziende agricole conferenti, per contribuire a limitare l’uso dell’acqua ai soli volumi necessari, attraverso apposite sonde per il monitoraggio diretto dell’umidità del terreno. Confrontando i dati rilevati dalle aziende agricole “guidate” con sonde con i risultati provenienti da quelle “non guidate”, si evidenzia un risparmio di acqua che arriva fino al 30%. Un passo importante per raggiungere entro il 2015 l’ambizioso obiettivo di riduzione dell’impronta idrica su tutta la filiera.
La sperimentazione promossa da Mutti prosegue nel 2013 con nuove e importanti investimenti e azioni di supporto:
– passano da 20 a 31 le aziende agricole coinvolte nel progetto che, utilizzando le sonde, potranno
migliorare le loro performance di irrigazione, riducendo i consumi idrici;
– sarà inserito un sensore aggiuntivo a tutte le sonde per perfezionare ulteriormente l’efficacia della misurazione,
– si provvederà inoltre ad una ulteriore sperimentazione su un’area di circa 200 ettari (circa l’8% della fornitura di pomodoro per Mutti) per la messa in efficienza dell’uso dei fertilizzanti.
Tra gli strumenti a disposizione di grandi imprese e investitori c’è il ‘Water Risk Filter’, la guida globale on line (235 schede tecniche su Paesi e territori, classificazione in base a 3 categorie di rischio – fisico, normativo e reputazionale) che, mappando i bacini idrici mondiali e classificandone la vulnerabilità sotto i diversi aspetti (dalla scarsità d’acqua mensile e stagionale ai livelli d’inquinamento, dai rischi per la biodiversità e per la sicurezza, fino agli effetti prodotti dai cambiamenti climatici), fornisce – dopo aver fatto compilare un questionario riservato con i propri dati – un kit di indicazioni e strumenti per valutare e mitigare i rischi, per aziende e investitori, legati alle risorse idriche, derivanti sia dalla propria filiera produttiva che dal bacino idrico interessato.
Tra le cose che invece può fare il cittadino, sia come utilizzatore del servizio idrico che come consumatore, c’è il calcolo della propria impronta idrica attraverso il carrello della spesa virtuale sul sito del WWF Italia, che permette così di essere consapevoli di quanto ‘oro blu’ mettiamo nel nostro piatto con la scelta dei nostri prodotti alimentari.